E così via
Le
impressioni da non fermare
La scoperta del substrato
morale che ispira la novella di Pinocchio, nella sua valenza di esorcismo del
precetto cristiano, ha di per sé un interesse letterario in quanto spiega da un
punto di vista certamente originale il favore mondiale che il messaggio di
Collodi ha incontrato. La novella rappresenta nella fisica dell’inconscio
letterario una sorta di antimateria della teologia dominante. Il diavolo, si sa,
non fa i coperchi; così la volontà inconscia (-volo) passa attraverso (dia-)
le righe, nel clivaggio del senso del racconto. Per la stessa ragione di
incomprimibilità della ragione ogni censura è destinata suo malgrado ad
affermare il suo contrario.
Nel testo qui proposto la
vicenda letteraria è l’occasione per ragionare sui temi di sempre che
riguardano la microfisiologia del potere, il metabolismo dell’essere e del
destino, le ragioni del fallimento o della fortuna. Parlo della realtà come di
una metafora del corpo umano. E invero, la prima categoria proposta è proprio
che il destino promana, come un’ombra per l’albero, dalla fisiologia umana
(a sua volta scrittura oggettivata della fisica). L’asserzione può essere
banale. Ma se, in questa ottica, consideriamo la rilevanza del ruolo materno, in
virtù del primato del parto, nella costituzione dell’essere, allora dobbiamo
per forza di cose ammettere esplicitamente il ribaltamento copernicano nella
individuazione del soggetto della storia che finora aveva individuato nel ruolo
maschile l’attore principale, senza mai mettere in risalto il ruolo del
mandante. Ciò che è stato designato troppo superficialmente come autoritario e
patriarcale rivela invece, all’esame della fisiologia affettiva la sua natura
matriarcale.
L’unico,
l’indifferenziato sia pure nella persona di un capo, un dittatore, un padrone
o un prelato realizza, in forma socializzata, il fantasma della madre.
La psicologia viva della
madre vive trasfusa nella forma sociale del dominio, che nell’accezione
matriarcale, realizza la volontà di possesso totale e continuato sul corpo dei
figli, sugli affetti, sull’intero mondo umano frainteso come creato (da una
entità suprema del proprio sé).
Le rivolte di liberazione
sociale sono state razionalmente dirette ideologicamente contro un bersaglio
maschile, nella convinzione che bastasse il parricidio per aprire alla
realizzazione dell’utopia liberata. Ci si è accorti invece che il terribile
padre non è che il cancelliere della prigione sociale, è il guardiano del
castello, è il secondino
della cella, è il Caronte o il San Pietro. Ma
chi è il primo?
Il responsabile primo è
niente meno dio. Ma è un dio molto umano, il cui potere è reale, ma la cui
efficacia risiede in gran parte nella potenza suggestiva della cancellazione
della coscienza e del sapere di cui sono esperte le religioni: quella cristiana
in particolare. Il dio domestico è la madre. La vittima di sempre è anche
carnefice-artefice del bene e del male. Nella misura in cui questa
consapevolezza è esclusa dalla coscienza umana, la psicologia della madre regna
incontrastata quale misura del mondo, come limite, appartenenza ma anche come
minaccia contro ogni pretesa da parte dei figli di emancipazione reale. Questi
saranno puniti della presunzione della volontà-fallo con il fallimento perché
il mago avrà trasformato il mondo in un giardino stregato del limite, della
crisi, del sacrificio, della distorsione dei valori dell’essere nella
pre-potenza dell’avere. E se non bastasse sono pronti e attivi i meccanismi
della passione e del sacrificio umano. Sul modello cristiano del ma-s-sacro.
Può darsi che tutto ciò
sembri esagerato. Tuttavia la storia e la realtà richiedono per l’oggi uno
strumento di lettura più adeguato.
Non c’è alternativa al
matriarcato che non passi attraverso la distruzione del paradigma dell’unicità,
della setta aziendale, monastica o della mondializzazione, che non superi ogni
concetto di affiliazione alla causa. L'alternativa al dominio matriarcale non è
nella continuità logica di un patriarcato, dato che non c’è simmetria nel
sesso umano. La liberazione passa per la via maestra dell’e-ma-ncipazione,
ossia attraverso la soddisfazione e il distacco dal corpo della madre verso una
socializzazione protetta e precoce. Nella civiltà sociale il primato della
differenza realizza l’utopia, oggi resa tecnicamente possibile dallo sviluppo
umano.
L’edipo di freudiana
memoria si ripropone in chiave rovesciata verso un ideale matricidio, verso il
debutto alla vita degli affetti sociali. La riscoperta dell’amore è nelle
disposizione al legame, quindi nella elisione della corda di partenza del
debuttante verso il suo scopo progettuale. A meno di non accettare lo stato di
cattività come esemplare. Nel qual caso l’accumulo di distruttività che ne
consegue apre (come è già nella realtà) ad una insostenibile ipoteca sulla
distruzione dell’ambiente, dei rapporti sociali e nel decadimento della
fisiologia. A nulla vale la fantasia di correzione ad opera della scienza di
mercato a cura del soggetto umano se il soggetto umano è strutturalmente
ma-lato.
Il mezzo tecnico nello
sviluppo sociale ha imposto potenzialità liberatorie senza che siano stati
risolti i nodi dell’emancipazione. Se l’astronave è in mano ad un umano che
per alcuni versi è ancora scimmia, sarà l’impatto con il reale, come sempre,
a porre l’obbligo di un salto di maturazione. In questa proporzione resta
comunque presente come variabile il rischio dell’estinzione.
Il primato fisiologico del
parto deve lasciare luogo al primato della sessualità liberante e
dell’incontro sociale. Lo spazio deve prevalere sull’egoismo distruttivo del
legame primario con-fusionale. I legami di simbiosi sociale sono la premessa
indispensabile per la prefigurazione di un universo amico basato sulla
responsabilità e sul governo dei soggetti.
Ciascuno deve assumere come
compito personale, immediatamente politico, la prefigurazione dell’utopia
reale, per non subire la reazione violenta che la condizione umana più retriva
scatena ogni volta che ci si trova dinanzi ad una obiettiva fase di avanzamento
e di liberazione. Non c’è nulla che faccia più paura della libertà ai
soggetti schiavi asserviti al potere antico e occulto del dominio matriarcale.
Il nemico è la
proliferazione indifferenziata dello sviluppo biologico come di quello sociale.
L’anello debole della differenziazione umana è il nesso di identità
figlia-madre: il passaggio obbligato della riproduzione naturale, il corpo della
donna, è anche quello che meno si differenzia nel processo di identificazione
sociale. Identità fusionale e omosessualità di ruolo connotano il destino di
cattura che colpisce la figlia a scapito della donna potenziale madre. Il
matriarcato si regge sulla negazione dell’emancipazione della figlia verso il
ruolo di donna reale. All’onnipotenza del ruolo materno fa riscontro
l’inconsistenza e il disvalore del sesso femminile per cui il difetto
narcisista della mancata identificazione si rivale sul fallo come sequestro e
furto di ruolo sessuale.
L’incompletezza e
l’indifferenziazione del processo di precisazione del soggetto femminile sono
stati già individuati quali principali fattori patognomici dell’attuale crisi
socio-sessuale che ha tra le sue conseguenze anche il fantasma realizzato della
guerra. La regressione biologica a condizioni settarie di involuzione sociale è
una ipotesi concreta del tempo attuale. La liberazione del tramite della
riproduzione umana, il corpo della donna, la sua restituzione alla responsabilità
del soggetto, coincide con il processo politico di socializzazione dei mezzi di
produzione nella fabbrica sociale: si
tratta appunto di abolire la posizione delle donne come semplici strumenti di
produzione (Manifesto del partito comunista). Produzione economica e
riproduzione biologica esigono per ciascuno il raggiungimento del pieno possesso
del ruolo economico e sessuale.
La pre-potenza di pochi
possessori violenti e immaturi attua ancora l'esproprio sul diritto alla vita di
tutti, sulla base di una pretesa legittimità dei genitori al diritto privato di
usufrutto sui figli generati. Dalla generalizzazione di tale protervia di abuso
nei rapporti sociali di produzione genera l'etica dialettica della ribellione.
La rivoluzione liberante non può che essere liberazione sessuale: lotta di
emancipazione generazionale
L’incapacità di elaborare
sul piano della ragione i meccanismi naturali che portano alla libertà sociale
ed affettiva può invece sprofondare la civiltà nell’inciviltà
dell’implicito e del privato, nell’incesto del legame di appartenenza
obbligata, come tentativo di risolvere la crisi strutturale di legittimazione e
di controllo. E tutto questo in concordanza con un protagonismo della scienza
che può divenire invadenza fino ad esautorare la sovranità del soggetto come
corpo e volontà responsabile. Si pretende che la scienza assuma un compito
correttivo dei processi di natura! Non è la macchina biologica che sbaglia ma
l’incapacità umana di adeguarsi a nuove esigenze di maturazione.
È necessario comprendere, combattere e superare la dittatura matriarcale, sostituire la legge della civiltà sociale al primato del sangue e a quello biologico della razza che è negazione del parto come debutto alla vita. In questo compito, che si realizza nella responsabilità di ciascuno di prefigurare il mondo come personale rappresentazione della felicità (e non del sacrificio), risiede la sfida della nuova condizione.