Fisiologia della Libertà

 

La pedagogia del distacco

 

Nel mezzo della vita, la selva e la prigione

 

 Nella lucidità onirica delle favole la madre è individuata come matrigna, spesso e volentieri in conflitto con la figlia (Cenerentola, Biancaneve,..). In Pinocchio è il pescecane che imprigiona il padre ed il figlio insieme nella sua grande pancia-utero. Ogni bocca dentata è simbolo del trauma del parto, quindi della madre. Suscita paura e conflitto, nella fantasia che possa negare la vita o inglobare.

Tra i più noti esempi della letteratura basti pensare all’odio del capitano Achab per la balena Moby Dick di Melville, alla nonna-lupo in Cappuccetto Rosso e in mille altre immagini letterarie e fantastiche.

Nel racconto di Dumas, il Conte di Montecristo giunge ad altra identità grazie all’abate Faria, alla fuga dalla prigione ed al taglio di una tela sudario per rinascere al riscatto personale. Nella selva oscura, anche Dante si fa accompagnare da un padre simbolico come Virgilio di fronte alle tre fiere.

L’asse emancipatorio padre-figlio è presente nella coppia Dumas genitore e figlio entrambi letterati di successo; così è pure nella coppia Virgilio-Dante. Inoltre, è elemento significativo, anche se probabilmente non programmato, il fatto che il protagonista del romanzo di Dumas padre, Il Conte di Montecristo, si chiami appunto Edmond Dantes.

Nel mezzo del cammin di nostra vita è la citazione dantesca che Casanova situa nella prefazione della sua storia della fuga dal carcere, i celebri Piombi di Venezia; l’evasione attraverso i tetti e poi le sale del Palazzo Ducale avviene, nella realtà storica, in compagnia dell’abate Balbi. Il protagonista è conscio che l’evasione è un atto liberatorio concretamente e idealmente rivolto contro il destino, perciò per i calcoli cabalistici propiziatori a questa impresa sceglie consapevolmente il modello di riferimento che gli è più affine[1]:

 

…decisi di consultare il divino poema dell’Orlando Furioso di messer Ludovico Ariosto… Idolatravo quel poeta e lo reputai più adatto di Virgilio a predire la mia fortuna.

 

Più conflittuale è il rapporto di Casanova con l’immagine paterna che egli al tempo stesso cerca e disprezza nella figura del suo compagno di fuga. Le cronache biografiche gli attribuiscono il nobile Michele Grimani come padre genetico diverso da quello legittimo; è comprensibile la natura avventurosa, il desiderio di riscatto e l’ambivalenza di rivendicazione aggressiva del personaggio.

Hemingway ne "Il vecchio e il mare" racconta del pescatore che uccide marlin e sharks (pescecani) per amore di un fanciullo e, nel soliloquio del suo protagonista, teso a consolidare un ruolo materno verso il ragazzo, disquisisce se il mare sia più maschile o femminile. Il vecchio svolge il tema autobiografico dell’autore che è quello di interpretare, per sostituzione, il ruolo materno e il suo potere affettivo in funzione di un tempo-relazione che dia senso alla vita, soprattutto nella fase di senescenza in cui la relazione umana si fa più rarefatta e prelude all’unica esperienza che, per definizione assoluta, è veramente individuale: la morte. L’aggressività verso la figura materna si esprime nella cattiveria con la quale il pescatore inveisce contro i predatori pescecani[2]:

 

Dentuso, he thought. Bad luck to your mother. (…)

Go on, galano, Slide down a mile deep. Go and see your friend, or maybe it’s your mother.

 

La distruttività del capitano Achab e del vecchio Santiago rivolta nei confronti della grande bestia realizza il fantasma di un rancore affettivo il cui oggetto originario è molto familiare; è evidente in questi esempi come la figura materna, oggetto di recriminazione, sia colpita in maniera non diretta e consapevole, ma attraverso la rappresentazione traslata sulla madre natura.

La protervia incosciente con la quale l’essere umano inquina e distrugge il pianeta, estingue le specie ed esige di correggere la biologia dei corpi e dell’ambiente (in nome del progresso e nella presunzione che la macchina biologica sia sbagliata) è un comportamento irrazionale che trova spiegazione solo alla luce della consapevolezza che, in questi modi, si estrinseca un odio accumulato per l’oppressione familiare e per una mancata emancipazione dalla rete di appartenenza primaria. Nella natura uccidiamo ciò che ancora ci possiede.

 

 

Il parto differito in un mondo senza madre

 

Rappresentata come labirinto, cecità, prigione, selva, utero-caverna, balena, lupa, strega o pescecane la centralità ginocratica che dà la vita è anche l'ostacolo da superare, è il limite che trova mille modi per negare da sempre il parto come effettiva scissione ed avvenuto distacco del figlio, arriva ad estendere la sua placenta sudario fino a scongiurare il debutto verso un esterno; può perfino configurarsi come dipendenza obbligata e controllo sociale.

Nel rito cristiano il diritto di possesso giunge alla morte, e l'incontro con l'altro, con l'esterno, è nelle promesse di un incredibile al-di-là. La realizzazione del soggetto è in subordine ad una impossibile resurrezione. Che comunque in nessun caso etico potrebbe giustificare la morte.

È la storia di ogni tempo, la questione è rimasta invariata ai nostri giorni: per gli uomini e per le donne ogni atto di emancipazione procede sempre dalla madre e si realizza come liberazione verso il sociale.

Per lo stesso motivo il mondo rappresentato nella letteratura per l'infanzia è tutto giocato al sociale; per necessità liberatoria le figure parentali tollerate sono in linea maschile, per esempio sulla coppia prevalente zio-nipote (Walt Disney) o padre-figlio (nei fumetti italiani Lupo Ezechele, Tex, e tanti altri). La figura della madre per lo più è fuori campo, anche quando protagonista è la bambina, come nel caso della fortunata serie televisiva svedese di Pippi Calzelunghe. Nella letteratura deamicisiana del libro Cuore, la presenza affettiva di nonna e madre è un debito angosciante e prelude spesso a un esito tragico della storia.

L’amore del padre per il figlio è ancora il motivo di fondo che ispira il personaggio di Popeye, il popolare Braccio di ferro, marinaio tutto mare, spinaci e tenerezza per il suo Pisellino. La forza del braccio in Popeye ha lo stesso rimando sessuale del naso in Pinocchio. L’interpretazione che ne dà Altman nel film dedicato svolge la trama dell’incontro tra  nonno, figlio e nipote. L’amore al maschile è goffo e rude almeno quanto può essere grande e rassicurante; finisce con il trionfare dopo l’immancabile lotta contro la tentacolare piovra[3].

Vale la pena di segnalare, per inciso, un elemento simbolico di grande interesse socio-affettivo: la scena di apertura del film indugia sull’arrivo di Popeye nel villaggio di pescatori che farà da sfondo alla vicenda, qui la comunità è oppressa da una vera persecuzione di balzelli e tasse di ogni tipo; in questo mondo, mutuato dal reale, Altman rende le condizioni in cui si esprime il controllo matriarcale nelle relazioni sociali.

L’equivalenza controllo-ingiustizia fiscale ha sempre connotato le fasi di crisi di legittimazione del potere matriarcale ed è anche l’elemento odioso contro cui si sono espresse le rivolte popolari. Le dinamiche dell’immaginario nel reale riconoscono giusta la legge se è ristabilita dal ruolo legittimante del padre (pa-c’è), altrimenti è usurpazione matriarcale e vessazione. Così è pure nella leggenda di Guglielmo Tell, dove la prova d’amore o di morte imposta sul figlio sortisce l’effetto di una liberazione nazionale.

 

 

Una questione di credo

 

In Pinocchio la donna, nel ruolo di giovane madre, è rappresentata dalla fatina turchina che tortura non poco con pani di gesso, pillole, sensi di colpa e punizioni il povero burattino. Ma la favola di Collodi è incentrata più sul riscatto dell'amore paterno, un riscatto dal destino di passione e di morte del mito cristiano.  La storia di Pinocchio nasce là dove finisce quella di Gesù: dal legno. Solo dopo la morte Gesù accede all'identificazione paterna (sale alla destra del padre), Pinocchio invece è la diretta creazione del padre. Uno si chiama Giuseppe,  l'altro G(ius)eppetto; entrambi sono falegnami.

Il racconto si snoda sul filo di una ironia che diviene realismo e quindi morale di stampo deamicisiano. Ma intanto l'autore parte da una considerazione piuttosto irriverente, nella sua logica schiettezza, palesemente agnostica e anticristiana: se è dato credere che una donna possa rimanere incinta per opera e virtù dello spirito santo, sarà allora altrettanto verosimile che un uomo, per di più falegname, possa fare da sé un bambino con una 'sega' e una pialla.

Questione di credo.

Nella favola lo spirito santo è presente sotto forma della voce della coscienza doppiata dal grillo parlante[4]:

 

Guai a quei ragazzi che si ribellano ai genitori (…) prima o poi dovranno pentirsene amaramente.

 

Ma per una volta è lui a finire inchiodato, anzi, spiaccicato sulla parete da un martello che, per una sorta di nemesi della materia, è di legno. La parodia al mito cristiano continua con l'analogia dei trenta denari e delle monete d'oro, naturalmente riferiti al tradimento e all'inganno; l'orto degli ulivi trova il suo corrispettivo nel campo dei miracoli; il gatto e la volpe sono con ogni evidenza due ladroni.

Anche senza una precisa simmetria si possono scoprire altri riferimenti involontari.

Al di là del rimando cristiano, la condizione narcisista dell'Io animale che fallisce l'emancipazione nel processo di sviluppo della coscienza, cioè della maturazione dell'uomo sociale, è raccontata nella metafora della città dei balocchi (azzeccata intuizione della tendenza all'edonismo del consumo). Lucignolo non giunge a strutturare l'Io verso l'autocoscienza dell'Io-sono, resta intrappolato nella pelle d'asino della condizione animale mimando, anche nell'espressione della parola, un asinino "io-io"; mentre Pinocchio fa della coriacea placenta d'asino pelle di tamburo ripulita dai pesci del mare; solo così si può avviare verso un destino di perfezionamento morale.

 



[1] Giacomo Casanova; Storia della mia fuga dai Piombi, Newton Compton ed., 1993, pp. 34, 131.

[2] Ernest Hemingway; The Old Man and the Sea, Cideb editrice, Rapallo, 1992, pp.  67, 72.

[3] Robert Altman; Popeye, USA, 1984.

[4] C. Collodi; Op. cit., p. 17.

 

 

 

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